Un tempo la carie era fra le principali cause della perdita dei denti, ma una volta compreso che la placca batterica è il fattore responsabile più importante nel processo degenerativo della carie, si è potuto approfondire di gran lunga il discorso sulle procedure preventive.
Di conseguenza, col tempo, i casi sono diminuiti notevolmente, con tendenza a scomparire nei paesi in cui la popolazione è socialmente e culturalmente più evoluta.
La carie è una malattia degenerativa del dente, che coinvolge i tessuti duri: la parte di solito più a rischio è la corona del dente, dove la carie, nei casi più gravi, può coinvolgere zone anche estese. Si origina con un processo di demineralizzazione causato dagli acidi della placca batterica, e si propaga, poi, fino in profondità: i minerali di cui è composto il dente, in altre parole, si disgregano, quando vengono a contatto con gli acidi, in particolare quando il ph della superficie del dente va al di sotto del valore critico del 5.5, a causa di un accumulo della placca.
In particolare, la carie si manifesta nei casi di suscettibilità del dente (la quale dipende molto anche dall’ereditarietà), di zuccheri all’interno del cavo orale che alimentano i batteri, e di scarsa igiene orale che lascia gli zuccheri in circolo quanto basta perché lo smalto si demineralizzi.
Le Condizioni generali che aumentano il rischio del processo carioso, sono:
a) quando il flusso salivare viene alterato (alterazioni di tipo quantitativo, ma anche di tipo qualitativo): l’acidità all’interno del cavo orale infatti è tamponata dalla saliva, che svolge una funzione microbicida e immunitaria, volta a combattere, almeno in parte, la carie;
b) disarmonia dell’arcata dentaria, cioè quando i denti non sono ben allineati e la placca si forma con più facilità;
c) abitudini alimentari errate: spuntini e cibi contenenti molti zuccheri sono delle valide minacce, soprattutto se, dopo averli consumati, non ci si lava accuratamente ed in modo tempestivo i denti. L’assunzione frequente di zuccheri mantiene acido il ph all’interno della bocca e la demineralizzazione dunque è costante.
Nella fase iniziale la carie non dà sintomi particolari. Il processo carioso inizia formando una cavità sulla superficie dello smalto, nelle aree in cui la placca ristagna con maggiore facilità (come nei solchi occlusali dei molari e dei premolari, o fra due denti), e poi va ad intaccare la dentina, progredendo fino a raggiungere la polpa, che non ha capacità riparative e che è sensibile agli stimoli. E’ a questo punto che cominciano i forti dolori, che sono quelli tipici della nevralgia e del trigemino: nevralgia del nervo mandibolare, o del nervo mascellare, a seconda della zona interessata.
I sintomi tipici sono il dolore diffuso che non lascia distinguere il dente coinvolto e dolore intensificato dagli stimoli chimici (zuccheri e acidi) e fisici (sbalzi termici, come caldo e freddo). In queste condizioni la polpa è infettata, e passa dall’infiammazione alla necrosi: aumenta di volume a causa della dilatazione delle arterie. Il dente a questo punto non dà nemmeno sintomi, poiché la polpa tende all’ischemia: dall’ischemia si passa alla necrosi pulpare.
Intervenire su una carie vuol dire rimuovere il tessuto cariato tramite strumentazione professionali (strumenti meccanici e manuali), e mediante l’otturazione della cavità con materiali diversi (i preferiti per risultati estetici sono il composito, cementi vetroionomerici, od anche intarsi realizzati utilizzando oro o ceramica). In ogni caso i materiali si scelgono considerando esigenze non solo estetiche, ma anche funzionali.
Intervenire, invece, con terapia sulla pulpite richiede l’apertura della camera pulpare, asportando poi completamente la polpa - quando non può essere conservata - e intervenendo con accurata disinfezione (con ipoclorito di sodio insieme al perossido di idrogeno). Il lavoro sarà completo solo dopo l’otturazione della cavità.
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